too much...

ILLUMInazioni

 

La cosa incredibile della Biennale non è tanto il contenuto, ma il contenitore, ovvero l’arsenale della repubblica di Venezia. Gli spazi sono mervigliosi, le strutture portanti possenti, i muri fatti di mattoncini rossi scrostati i pavimenti originali, insomma io andrei alla biennale anche solo per poter stare in quello spazio. Tralascio il padiglione Italia che al di là di qualsiasi dignità concettuale pensata dal curatore, mi è sembrato un magazzino dove le cose (sicuramente volutamente) si presentavano in maniera confusa ed accatastate l’una all’altra, a quel punto avrebbe avuto forse senso rimuovere anche i nomi degli artisti produttori dei singoli pezzi, per generare finalmente  un caos indistinto che forse avrebbe avuto maggiore dignità. Usciamo all’aperto per prendere un pò d’aria e subito notiamo degli avvoltoi (forse gabbiani) che girano affamati nel cielo, strepitano, reclamando le carcasse degli artisti?

Io non so, probabilmente ha ragione Cattelan, ad un certo punto bisogna avere il buon gusto di smettere di fare l’artista e dedicarsi ad altro, o perchè no, abbracciare un cammino di fede e speranza (ecclesiale?). Sta di fatto che i 2000 colombi impagliati a me sono piaciuti. Se non fosse per altro che ci ricordano che tutti gli sforzi di tenere lontano lo sgradevole sono vani. L’arte alla biennale non è salva dalla merda dei piccioni. Oppure semplicemente dobbiamo accogliere i piccioni perchè per quanto ci si possa sforzare di tenerli lontani prima o poi ciò che esce dalla porta finisce per rientrare dalla finestra.

Ad ogni modo mi è piaciuta una cosa e l’ho fotografata. Un cartello che appoggiato a terra indica una direzione. Se l’arte per dirla con Artaud non ha altra funzione se non quella di far uscire dall’inferno l’artista attraverso il processo ideativo e la realizzazione pratica, mi piace pensare che la si possa quanto meno relegare alla possibilità di indicarci una direzione, una via, qualunque essa sia basta che mi porti lontano da esercizi di stile e operazioni volte a stupire. A me stupisce la natura, non la sua imitazione a cui si finisce per conferire il nome di arte.

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